il suo essere ‘suora francescana’ nel quotidiano e… oltre!
Tra gli oggetti appartenuti alla Venerabile suor Serafina degli Angeli, custoditi nella Casa Madre veneziana delle Suore Francescane di Cristo Re, ve n’è uno assai piccolo, collocato in una delle vetrine disposte nella saletta dedicata alle Reliquie e Memorie, un vero prezioso ordinato museo, di sommo interesse per l’immediatezza delle testimonianze su tanti aspetti della vita di Serafina, talvolta meno noti.
Questo minuto oggetto, a prima vista umile e insignificante, è un mozzicone di matita copiativa a sezione esagonale, con la punta consumata, la vernice scrostata, lungo tre centimetri e mezzo, e legato a uno spago fissato con una spilla di sicurezza a una busta bianca (cm 11x15) ingiallita dal tempo, recante i segni di piegatura in quattro e la scritta a mano con inchiostro blu «matita usata da Suor Serafina degli Angeli, n. a Fiume Veneto 15 ott. 1873 - m. a Venezia 30.I.1935» (esattamente 1973 corretto in 1873).
In effetti suor Serafina, costretta supina a letto nell’immobilità del corpo tranne le braccia, continuò ad adempiere alla sua missione scrivendo proprio con la matita copiativa sul foglio posato sopra una tavoletta tenuta sullo sterno; copiativa, di certo affinché le sue lettere, i pensieri, i cenni storici e la cronaca delle Terziarie francescane (questa in ben cinque quaderni) non si alterassero col tempo.
Ma come è giunto sino a noi il pezzettino di matita, e perché è conservato con sì gran cura? Intanto per la sua rarità, essendone noto solo un altro, di quattro centimetri, conservato nella Casa Natale a Fiume Veneto; e poi, ovviamente, per l’essere una reliquia della Venerabile.
Ad accrescere il motivo di tanta attenzione, ci sono anche dei fatti particolari svoltisi cinque anni dopo la morte di Serafina.
Nel 1939 suor Angelina Muzzatti (1901-1980), come si legge in una sua lettera del marzo 1960, si trovava in Africa Orientale, precisamente in Etiopia, a prestar la sua opera d’infermiera nell’ospedale militare di Dessié, assieme alla consorella suor Maria Emanuela Polato (1912-1944).
Qui era ricoverato Ernesto, un giovane carabiniere italiano, che stava per subire l’amputazione della gamba destra, ormai con inizio di cancrena dopo l’esito sfavorevole delle molte cure per la riduzione di una brutta frattura con ferita lacero-contusa, causata da una caduta dalla motocicletta mentre era in servizio.
La sera prima del doloroso giorno in cui l’arto sarebbe stato tagliato, suor Angelina, su suggerimento della consorella Maria Emanuela, attaccò alla doccia gessata, pur senza troppa convinzione, un pezzetto di matita usata da suor Serafina e tenuta come reliquia dopo la sua morte con fama di santità.
Di ciò avvisò Ernesto, ormai destinato a perdere la gamba. Ebbene: il mattino dopo suor Angelina si riprese la matita e, tolta la fasciatura, la piaga, con grande stupore del medico, come ben si può immaginare, risultò decisamente migliorata sì da scongiurare l’amputazione! Serviva solo una radiografia, da fare in Italia. Tra le garze, il giorno del rimpatrio, apparve un frammento osseo, quasi estratto da una provvidenziale mano invisibile: era proprio quello, come disse il chirurgo, ad aver causato l’inutilità delle cure e il continuo aggravamento. Ah! se fosse uscito prima…
Il carabiniere Ernesto (suor Angelina ne ricorda solo il nome) inviò una cartolina dall’Italia confermando che tutto era andato bene.
Ora, considerando che suor Angelina null’altro ci dice sul mozzicone di matita, è possibile e plausibile seguirne il percorso in questo modo: si può pensare, con una certa sicurezza, che l’abbia avuto non direttamente da suor Serafina, che nulla stimava «suo», ma dall’allora Superiora generale Madre Arcangela Salvalaggio (1884-1972), la quale l’inserì in una busta, forse già apponendovi di sua mano, prima di consegnargliela, la dicitura citata (la grafia è stata confrontata con una lettera autografa): suor Serafina avrebbe protetto la missionaria nel lungo viaggio verso l’Africa.
Suor Angelina portò sempre addosso la busta, ripiegata in quattro, come frate Leone tenne nella tonaca la carta con la Benedizione scritta per lui dal Poverello.
Tornata nel 1943 a Venezia, avrà raccontato a tutte le consorelle la miracolosa vicenda di Dessié, con la grazia ottenuta per Ernesto mediante l’intercessione della Venerabile, e avrà mostrato loro la matitina, sentendosi infine in dovere di non tenerla più solo per sé, ma di lasciarla in custodia alla Casa Madre, essendo divenuta davvero ancor più preziosa reliquia; reliquia che Madre Arcangela avrà risistemato nella busta come la vediamo oggi, apponendovi la dicitura forse solo in quel momento.
Così la «matita del miracolo» continua a parlarci dalla sua vetrinetta.